sabato 6 settembre 2008

la bella addormentata


A sette anni giocava a soldatini nel campetto e voleva solo dormirle vicino.
Lei era la sorella grande di Stecco, aveva quasi 17 anni, ma i grandi non la guardavano nemmeno. Lui la sognava dalla domenica al venerdì; ogni sabato pomerigio lei insegnava catechismo per prepararli alla prima comunione.
Lui pensava "dopo la cresima ti sposo" e intanto cercava di farsi amico Stecco, il primo della classe, il più vigliacco del campetto.
La sorella di Stecco diventò bella in tre o quattro mesi e i grandi cominciarono a guardarla. Lui non era più sicuro di arrivare in tempo per sposarla, ma continuò a sognare di dormirle accanto fino alla fine delle elementari.
Lei li accompagnò fino alla cresima poi, alla fine di quell'estate, si fidanzò con il figlio del farmacista. A unidici anni si innamorò della signorina di colonia che aveva passato... i diciassette. Durò pochissimo, ma una volta tornato a casa era tutto cambiato. In un mese quelli con cui aveva giocato a soldatini avevano tutti la bici e stavano pomeriggi interi via dal campetto.
Persino Stecco pareva esser diventato interessante, fumava e spacciava giornalini che avrebbero fatto arrossire sua sorella. Lui aveva ancora voglia di giocare a soldatini, era un militare in carriera, ma tutto l'esercito del campetto era più giovane di lui; capiva che stava arrivando il momento di smettere ma non aveva voglia di inseguire quelli in bici. Gli sembrava che loro ormai sapessero cose che lui ignorava e si vergonava di choedere. Così, facendo finta di sapere che con le ragazze non si dorme solo, cercava di scoprire cosa c'era di speciale che rendeva tutti su di giri.
Alle medie gli capitò di nuovo di essere in classe con Stecco che era ormai molto più alto e sviluppato. Trovava dischi nuovi che portava alle feste al buio più importanti. Quando anche a lui comprarono la bici gli altri avevano già il motorino e il mangiadischi. Le ragazze più carine delle medie uscivano già con quelli di 17 anni, non con lui.
Una volta a una festa al buio (si chiamavano così perchè era vietato accendere la luce durante i balli) una che non conosceva si stringeva tantissimo ballando, ma quando provò a baciarla, un poco, con la lingua, prese la scossa; lei aveva l'apparecchio ai denti. E gli tornò al voglia di giocare ai soldatini, per sempre.
Tornò a sedersi al buio sperando che almeno una gli si addormentasse accanto sul divano.
A 16 anni prese la patente e cominciò a lavorare l'estate. Gli pareva di essere l'unico rimasto indietro, non aveva la ragazza e questo era anche abbastanza normale, ma praticamente non ne aveva mai avuta una e questo gli sembrava spaventoso. Pensava "mi compro la Vespa così la porto al mare" ma non riusciva ad immaginarsela una ragazza se non addormentata sul sellino della Vespa. Le ragazze lo cercavano, ma solo per parlare, lui le ascoltava e sperava che si stancassero, più di tutto gli piacevano le pause.
A 20 anni si sentiva meno normale di tutti ma c'era una di 17 che gli piaceva perchè aveva le occhiaie e parlava poco.
A una festa si trovarono vicini, lui pensava "sono il più vecchio, è ora che la smetta coi festini", lei era sola, gli altri non la guardavano nemmeno.
Si salutarono, lei taceva. Allora toccò a lui parlare. Le parlò di Stecco, del campetto, della patente, del Vietnam, della pasta col tonno che era bravissimo a fare. Poi sentì che non riusciva a dire più niente. Allora lei lentamente si avvicinò e gli sussurrò piano "adesso dormiamo?" Era la donna giusta - tana liberi tutti - "E' da quando avevo sette anni che ti aspetto" e la baciò.

Marco Paolini

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LIVING EPHITAPHS


Ogni sorso di questo vino è uno strale conficcato nel petto, lì sulla sinistra, dove chi ha un cuore lo sente pulsare fino alla gola. Me lo diceva sempre anche lei che non sapevo bere, quella puttana dallo sguardo di cera, che tramutava in lacrime ogni cazzo di pensiero che aveva. Curioso, nemmeno ricordo come si chiamava: non so più nulla di lei, è passata come un livido che si cancella con il tempo, lasciando una leggera cicatrice che si fa sentire sempre meno. Forse è morta in un fottuto fiume di lacrime, annegata dalla sua mente paranoica, suicida del suo essere troia ben oltre le ossa, fin dentro la più recondita profondità delle viscere. Quante volte ho sognato il suo collo fra le mie mani, quella pelle ch’io un tempo sfioravo di baci, quanto avrei voluto avere la carnagione così candida da sembrare latte divino sotto la presa forte delle mie dita, per togliere al mondo il peso di un respiro così inutile. Sì, cazzo, l’avrei voluta vedere morire, avere il potere di chiudere per sempre i suoi occhi spenti, sentirla per una volta implorare il mio nome.

Daniele Erler, 'Pensieri Di Un Killer Sentimentale'