mercoledì 1 dicembre 2010

umanità che non fa male.

Ho potuto con piacere assistere ad una serie di incontri ( http://stage-placement.unitn.it/news/arriva-h-factor-le-professioni-degli-umanisti ) organizzati dalla mia università con esponenti dei più svariati settori lavorativi (editors, curatori di musei, archivisti) aventi una laurea umanistica, che hanno illustrati a noi laureandi/laureati le tappe fondamentali del raggiungimento dei loro obiettivi fornendoci anche qualche consiglio su come comportarsi quando, alla fine del proprio percorso di studi, ci si trova con un titolo di laurea che sembra far rima con epilogo. Uso il termine 'epilogo' perchè la concezione corrente della persona che si iscrive a Lettere e Filosofia è di qualcuno che non troverà mai un lavoro inerente a quello che ha studiato, per cui i soldi spesi sono stati esclusivamente addebitati al conto in crescente aumento della Cultura Personale, differente da persona a persona.
Svariate volte ho sentito discorsi usciti da bocche di boriosi studenti di Economia, Ingegneria o Giurisprudenza che vaneggiavano sul lavoro sicuro che avrebbero trovato una volta usciti dall'università, snobbando noi poveracci futuri disoccupati che invece ci spezziamo la schiena su pagine di storia moderna o poemi cavallereschi.
Di questi tempi è molto difficile fare discriminazione. La mia generazione, e anche quella precedente, ospita migliaia di persone su una barca malridotta e chi nega questo fatto probabilmente vede il mondo del lavoro come una cosa troppo al di là del domani. Ovviamente non mi riferisco ai lavoretti saltuari che prima o poi tutti debbono affrontare, bensì l'occupazione della vita. Non è il titolo di studio che fa la differenza, ma un mix di ingredienti quali fortuna (ce ne vuole sempre un po'), personalità (dote rara), competenze e competitività.

Trovo sia inutile e denigratorio intraprendere un percorso accademico incentrato esclusivamente sulla certezza di un lavoro sicuro. Un lavoro che arreca noia e stress? Io, studentessa di Beni Culturali, mi ci vedrei a fare l'avvocatessa in uno studio legale? Mai e poi mai. Al solo pensiero di dovermi studiare pagine su pagine di diritto penale mi addormento.
Dico sempre che finchè si hanno le possibilità economiche e mentali è giusto fare quello che il cuore dice. La testa è uno strumento vitale, ovviamente, ma trovo che le scelte vadano fatte in un modo per il quale la logica funga da pilastro portante ma nulla più. Il resto deve essere esclusivamente passione per le cose che si amano fare.

Queste elucubrazioni mi servono per evidenziare quanto gli incontri di oggi mi abbiano portato a ragionamenti edificanti. Ero cosciente sin da prima che il laureato in un settore umanistico possiede capacità organizzative e conoscitive tali da fargli ricoprire altri ruoli che non siano Storia=storico o Filosofia=filosofo, ma sentir parlare in prima persona di alternative concrete e soprattutto varie mi ha rincuorata non poco.
Ad esempio ho assistito alla conferenza di Luca Melchionna su come lui, laureato in Storia contemporanea all'università di Bologna sia riuscito a diventare addetto stampa al Mart di Rovereto. Oppure come Patricia Chendi, anch'essa laureata in Storia, stia dedicando la sua vita all'editoria per la casa editrice Sonzogno.
Il mio sogno sarebbe di diventare gallerista, oppure curatrice museale. Grazie a questi incontri ho capito che posso sfruttare le mie passioni, come ad esempio la scrittura e la lettura, per aprire la mia mente ad altri possibili sbocchi professionali.
Tutto ciò accende un barlume di speranza in me, pessimista cosmica di altissimo livello.

1 commento:

Daniele Erler ha detto...

come sai, la penso come te.. E son così felice per ogni speranza, che dia luce a quel tuo pessimismo..